Genova tra uomini e topi

Da quattro giorni Roger è sempre lì. Sembra non sia cambiato nulla dalla sua prospettiva. Del resto non potrebbe essere altrimenti, visto che Roger è morto. L’ho chiamato così, banalissimo nome che non gli rende onore, ma non è colpa mia. E’ colpa sua, fondamentalmente, perché Roger è un topo e un nome così gli va a pennello.

E poi, a dirla tutta, Roger ormai non può manco più essere definito “topo”: è la carogna di un topo, per esattezza, che ha visto finire la sua vita di roditore di città al confine tra la “Genova bene” e la Maddalena. Perché Roger è morto in Salita Santa Maria degli Angeli, una parte della topografia di Genova che non può essere definita “vicolo” ma nemmeno “via”, posizionata come strada di confine tra via Garibaldi, all’altezza del palazzo della Meridiana, e i vicoli bui che sono alle spalle dei palazzi dei Rolli. Una “discesa verso qualcosa”, più che una salita, in cui nemmeno Google Maps ti fa entrare.

Sono quattro giorni e relative notti che ogni mattina e ogni sera, prima di venire o ritornare dalla redazione, incontro Roger. Ma nel mio cammino, prima di arrivare ancora una volta a posare il mio sguardo sulla sua carcassa, soprattutto la sera tardi, ho incontrato e visto operatori ecologici ripulire alacremente via Garibaldi. Eppure basterebbe poco, perché Roger si vede anche da piazza Grimaldi, dando per un attimo le spalle alla Meridiana, per allungarsi un po’ più “sotto” e portarlo via.

Ma scrivere di Roger, in realtà, è solo un pretesto. Perché un topo morto è solo un simbolo: il suo cadavere abbandonato tra le mosche che gli fanno il funerale non è altro che la rappresentazione quotidiana della non curanza e della poca attenzione a tutto quello che sta succedendo in questa città e in molte altre, metropoli e non, del nostro Paese.

Sul mio percorso notturno verso casa, ogni notte, vedo in realtà scene che mi feriscono e indignano molto di più di una carcassa abbandonata. Vedo sempre più persone che si affollano in galleria Mazzini, uno accanto all’altro per trovare riparo per una notte. Vedo i sacchi e i cartoni lasciati dai diseredati di Genova sulla casupola che svetta in piazza Piccapietra. Vedo uomini a tutte le ore del giorno e della notte scavare nella spazzatura (video) e altri spuntare al calar del sole che si organizzano sotto i portici per passare un’altra notte all’addiaccio (video). E mentre i miei occhi registrano questo, ricordo Claudio , i suoi trentatrè anni lontano dal Cile, il suo sogno ad un passo, tra l’alcolismo e l’abbandono, di ritornare a casa il prossimo luglio. Ricordo la notizia della sua morte, la lettera scritta dai volontari della comunità di Sant’Egidio per raccontare a tutti chi era questo umano e penso che proprio noi della redazione Web del Secoloxix.it siamo stati gli ultimi a raccogliere la sua voce, a chiedergli di raccontare la sua vita (video).

Uomini e topi in una città che nella sua straziante bellezza e malinconia, come in un gioco di specchi, osserva i suoi stessi abitanti che, a loro volta, non si guardano neppure più attorno.

Uomini e topi che, a differenza del romanzo di Steinbeck, non trovano salvezza nemmeno nella morte, sia gli uni che gli altri, oggi, a Genova.

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